Il sistema di prevenzione del rischio di illegalità nel disegno di
legge anticorruzione.
La presente analisi
considera gli articoli 1, 4 e 5 del disegno di legge anticorruzione approvato
alla camera dei deputati il 14 giugno 2012.
In tali articoli si delinea la possibile futura struttura per la gestione del rischio di corruzione ed illegalità nelle
pubbliche amministrazioni, vale a dire l’insieme di responsabilità, poteri e
risorse (Piani di gestione del rischio, sistemi di sanzione, codici di
comportamento, flussi informativi), necessari per definire, attuare, monitorare,
rivedere e migliorare nel tempo le attività di prevenzione della corruzione e
dell’illegalità nel settore pubblico.
1. L’Autorità Nazionale Anticorruzione (art. 1, commi 1-3). L’Autorità
Nazionale Anticorruzione è individuata in un organismo già esistente: la
Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle
amministrazioni pubbliche (art.13 d.lgs. 150/2009), nota anche come CIVIT. Già
il comma 8 dell’art. 13 del d.lgs. 150/09 prevedeva l’istituzione, presso la
Commissione, di una “Sezione per l’integrità nelle amministrazioni pubbliche
con la funzione di favorire, all’interno della amministrazioni pubbliche, la
diffusione della legalità e della trasparenza e sviluppare interventi a favore
della cultura dell’integrità”, incaricata di emettere di Linee Guida per la
redazione dei Programmi triennali per l’integrità e la trasparenza delle
pubbliche amministrazioni (art 11, comma 2, d.lgs. 150/2009) e di vigilare sul
rispetto degli obblighi in materia di trasparenza. Quindi, l’idea di fondo è
che la prevenzione della corruzione passi, necessariamente, attraverso
interventi in campo etico ed organizzativo, finalizzati a promuovere una
cultura della trasparenza e dell’integrità. Secondo questa visione, la
corruzione può essere vista come “espressione patologica” di una cultura
dell’impresa pubblica poco orientata all’etica e alla trasparenza.
Alla CIVIT (nella sua funzione di
Autorità Anticorruzione) sono assegnate numerose funzioni (art. 1, comma 2):
- Collaborare con gli organismi anti corruzione regionali, nazionali ed internazionali, e
- Approvare il Piano Nazionale Anticorruzione, predisposto dal Dipartimento della Funzione Pubblica.
- Vigilare sull’effettiva applicazione delle misure anti corruzione e di trasparenza nelle pubbliche amministrazioni italiane, anche con interventi di tipo ispettivo (art. 1, comma 3).
- Analizzare le cause e i fattori della corruzione ed individuare gli interventi che ne possono favorire la prevenzione e il contrasto.
- Riferire annualmente al Parlamento circa l’efficacia delle disposizioni di legge e degli interventi in materia di contrasto alla corruzione e all’illegalità nella pubblica amministrazione.
- Esprimere pareri facoltativi sulla conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento, ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico;
- Esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali.
Quindi, LA CIVIT si trova ad
essere il principale perno su cui far gravitare le alcune delle attività
connesse alla gestione del rischio-corruzione nel settore pubblico: valutazione dei fattori di rischio, approvazione degli indirizzi generali
per il trattamento del rischio (Piano Nazionale Anticorruzione), monitoraggio e supporto per la corretta applicazione dei piani per la gestione del
rischio-corruzione nelle singole amministrazioni, rapporti con gli stakeholders interni (pubbliche amministrazioni,
parlamento, ministero della funzione pubblica). In generale, il modello di
gestione del rischio è fortemente centralizzato ed individua (già in via
preliminare) due fonti di rischio, associabili all’emergere di episodi di
corruzione:
- i comportamenti e gli atti dei funzionari pubblici. Queste fonti di rischio non possono essere rimosse (perché sono parte della vita organizzativa degli enti pubblici). La CIVIT, però può intervenire per valutare l’aderenza di atti e comportamenti al complesso delle regole (codici di comportamento e contratti di lavoro) che governa il pubblico impiego, per gestire fin da subito condotte potenzialmente illecite. (trattamento della fonte di rischio)
- lo svolgimento di incarichi esterni da parte di dirigenti amministrativi dello stato e degli enti pubblici nazionali, che rappresentano un possibile rischio, nella misura in cui, attraverso tali incarichi, il pubblico ufficiale si trova coinvolto negli interessi di stakeholders esterni alla pubblica amministrazione, che potrebbe favorire in modo illecito. Tali fonti di rischio possono essere semplicemente rimosse, non autorizzando l’incarico esterno.
2. Il ruolo del Dipartimento della Funzione Pubblica (art. 1, commi 4).
Il disegno di legge prevede (ai commi 4 e 5 dell’articolo 1), che il
Dipartimento della Funzione Pubblica predisponga un Piano Nazionale
Anticorruzione, per coordinare l'attuazione delle strategie di prevenzione e
contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione. Il
Piano Nazionale Anticorruzione deve essere approvato dalla CIVIT. Inoltre, il Dipartimento della funzione
pubblica promuove e definisce:
- Le norme e le metodologie comuni per la prevenzione della corruzione
- Le informazioni e i dati occorrenti per la prevenzione della corruzione e dell’illegalità, elaborando anche modelli standard, che consentano il trattamento informatico dei dati;
- I criteri per assicurare la rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti al rischio di corruzione
- Le misure per scongiurare sovrapposizioni di funzioni e cumuli di incarichi nominativi in capo ai dirigenti pubblici, anche esterni.
Per implementare un efficace
sistema di prevenzione del rischio di reato è fondamentale definire
correttamente le responsabilità e i poteri dei vari soggetti in esso coinvolti.
E in questo senso il disegno di legge sembra essere efficace, perché assegna
alla CIVIT un ruolo attivo nella regia del sistema di prevenzione della
corruzione (l’autorità ha poteri di vigilanza, riferisce in parlamento, esprime
pareri, collabora con gli organi internazionali, analizza i fattori di rischio
associati alla corruzione e all’illegalità, individua modalità di trattamento
del rischio); mentre assegna al Dipartimento della Funzione Pubblica la
responsabilità di definire le risorse
(norme, metodologie, modelli standard, criteri e soluzioni gestionali) su cui
si la CIVIT imposta la propria attività.
3. I Piani Anticorruzione nelle Pubbliche Amministrazioni (art. 1,
comma 5 e 5 bis e art. 8 ). Il
disegno di legge prevede che tutte le Pubbliche Amministrazioni Centrali
definiscano e trasmettano al Dipartimento della funzione un proprio Piano di
Prevenzione della Corruzione. I Piani devo contenere “una valutazione del
diverso livello di esposizione al rischio corruzione degli uffici e gli
interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio”, nonché “procedure
appropriate per selezionare e formare, in collaborazione con la Scuola
superiore della pubblica amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in
settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi
settori, la rotazione di dirigenti e funzionari”.
Il successivo articolo 8 del
disegno di legge chiarisce che l’obbligo di predisporre e attuare i Piani di
Prevenzione della corruzione (stabilito per Pubbliche Amministrazioni Centrali)
è esteso a tutti i soggetti pubblici che rientrano nell’ambito di applicazione
del Testo Unico del Pubblico Impiego (art. 1, comma 2 del d.lgs. 165/2001). L’estensione
dei Piani anticorruzione alle Regioni, agli Enti Locali, agli Enti Pubblici e
ai soggetti di diritto privato sottoposti al loro controllo, dovrà avvenire,
entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge, attraverso intese in sede
di Conferenza Unificata.
Si tratta di una platea
vastissima, che coinvolge non solo l’amministrazione statale, regionale e
locale, ma anche gli istituti Scolastici, le Università, le Comunità Montane, i
Consorzi, gli Istituti Autonomi Case Popolari, le Camere di Commercio, tutti
gli Enti Pubblici non Economici, le ASL gli altri enti del Servizio Sanitario
Nazionale. Questi enti erano stati, in tutto o in parte, esclusi dal campo di
applicazione del d.lgs. 231/2001 (che, come noto, non si applica allo Stato, agli
enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, nonché agli enti che svolgono
funzioni di rilievo costituzionale) e quindi la legge anticorruzione, così come
è stata licenziata dalla Camera, si
configura come il Decreto 231 del settore pubblico.
I Piani per la Prevenzione della
Corruzione, adottati dalle singole amministrazioni, devono essere formulati e
adottati nel rispetto delle linee guida contenute nel Piano Nazionale approvato
dalla CIVIT e i Prefetti avranno il compito di fornire, su richiesta, supporto tecnico
e informativo agli Enti Locali, anche al fine di assicurare l’aderenza dei
Piani agli indirizzi definiti a livello
nazionale (art 1, comma 5-bis).
4. Caratteristiche dei Piani per la Prevenzione della Corruzione nella
pubblica amministrazione ( art. 1, commi 5 ter – 5 quinquies) . Le
somiglianze con il d.lgs 231/2001 si fanno evidenti quando si passi ad
analizzare i requisiti e le modalità di attuazione dei Piani per la Prevenzione
della Corruzione nelle Pubbliche Amministrazioni. Tali Piani, infatti,
assomigliano molto (per il loro contenuto e per le responsabilità che mettono
in campo) ai modelli organizzazione e di gestione del d.lgs. 231/2001.
L’Organo di indirizzo politico
dell’Amministrazione (p. es. nei Comuni la Giunta), entro il 31 gennaio di ogni
anno, deve adottare il proprio Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione.
Il Piano deve essere predisposto da un Dirigente Responsabile della Prevenzione
della Corruzione, esplicitamente individuato tra i dirigenti amministrativi di
ruolo di prima fascia in servizio presso l’Ente. Negli enti locali, il
responsabile della prevenzione della corruzione è individuato,di norma, nel
segretario, salva diversa e motivata determinazione. Il Piano adottato deve
essere trasmesso al Dipartimento della funzione pubblica. Il “Dirigente
Anticorruzione” deve anche, annualmente, definire procedure appropriate per
selezionare e formare i dipendenti chiamati ad operare in settori
particolarmente esposti alla corruzione. Poiché i Piani, triennali devono essere adottati ogni anno, il disegno
di legge sembra implicitamente richiedere alle amministrazioni di effettuare
una revisione annuale del Piano in essere, attività che, se correttamente
attuata, potrebbe effettivamente garantire alle amministrazioni il
miglioramento continuo, nel tempo, dei propri presidi anticorruzione.
La mancata predisposizione del
piano e la mancata adozione delle procedure per la selezione e la formazione
dei dipendenti costituiscono elementi di valutazione della responsabilità
dirigenziale.
I Piani per la Prevenzione della
corruzione (al pari dei Modelli 231) devono rispondere a precisi requisiti,
definiti nell’articolo 1 comma 5-quinquies del disegno di legge. Essi devono
- individuare le attività nell'ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione, anche raccogliendo le proposte dei dirigenti, elaborate nell'esercizio delle funzioni di loro competenza
- prevedere, per le attività individuate a rischio corruzione, meccanismi di formazione, attuazione e controllo delle decisioni idonei a prevenire il rischio corruzione
- prevedere, con particolare riguardo alle attività a rischio di corruzione, obblighi di informazione nei confronti del Dirigente Anticorruzione
- monitorare il rispetto dei termini, previsti dalla legge o dai regolamenti, per la conclusione dei procedimenti;
- monitorare i rapporti tra l'amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano contratti o che sono interessati a procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici di qualunque genere, (con particolare attenzione alle relazioni di parentela o affinità sussistenti tra i titolari, i soci e i dipendenti degli stessi soggetti e gli amministratori, i dirigenti e i dipendenti dell'amministrazione);
- individuare specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge.
Si
tratta di una nozione di trasparenza molto forte (che va ben oltre il semplice
diritto all’accesso agli atti amministrativi), che ha un fondamento
costituzionale, nella misura in cui costituisce un livello essenziale delle prestazioni
erogate dalle amministrazioni pubbliche
ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera
m) , della Costituzione.
Gli articoli 2, 2-bis e 3 e parte
dell’ articolo 4 del disegno di legge anticorruzione sono interamente dedicati
alla trasparenza nei vari ambiti dell’attività amministrativa (utilizzo delle
risorse pubbliche, tempistiche dei procedimenti, appalti, concessione di
contributi, concorsi, controversie, accesso agli atti, attribuzione degli
incarichi dirigenziali, autorizzazione ad incarichi esterni). Per ragioni di
spazio, tali articoli non saranno trattati nella presente analisi.
5. Codici di comportamento
(art. 4, comma 2-bis). Il disegno
di legge definisce il nuovo Codice di Comportamento dei dipendenti
pubblici, riscrivendo in toto l’articolo 54 del Testo Unico del Pubblico
Impiego. Il Codice che dovrà essere definito dal Governo entro sei mesi
dall’entrata in vigore della legge anticorruzione. Il
codice di comportamento avrà il fine di assicurare la qualità dei servizi,
prevenire fenomeni di corruzione,
promuovere il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà,
imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico.
Il codice dovrà contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei
dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite e che comunque
preveda il divieto per tutti i dipendenti pubblici di chiedere o accettare, a
qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con
l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i
regali d'uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia.
ll Codice di Comportamento, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica, dovrà essere consegnato al dipendente, che lo sottoscriverà
all’atto dell’assunzione.
Il nuovo codice di comportamento
è adottato dal Governo, e non più, come in precedenza, dal Dipartimento della Funzione
Pubblica. Inoltre, il nuovo codice sarà immediatamente applicabile (in
precedenza, doveva essere recepito nei contratti di lavoro), anche se ciascuna amministrazione sarà
chiamata a definire un proprio codice, che integra quello nazionale, con
procedura aperta alla partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio
Organismo indipendente di valutazione e secondo criteri, linee guida e modelli definiti dalla Civit.
6. Obblighi e sanzioni a carico del Dirigente Responsabile della
Prevenzione della Corruzione dei dipendenti (art.1, commi 5 sexies – 5 decies).
Il disegno di legge assegna al
Dirigente Anticorruzione anche la responsabilità di verificare l’idoneità e l'efficace
attuazione del Piano per la Prevenzione della Corruzione, proponendo delle modifiche,
in caso di gravi violazioni o modifiche nell’organizzazione o nei processi dell’
amministrazione. Inoltre, deve verificare l’effettiva rotazione degli incarichi
negli uffici maggiormente esposti al rischio di corruzione ed individuare il
personale a rischio, da coinvolgere in percorsi di formazione sui temi
dell’etica e della legalità che, per le amministrazioni statali, saranno
organizzati dalla Scuola Superiore per la Pubblica Amministrazione.
In caso di commissione,
all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con
sentenza passata in giudicato, il Dirigente Anticorruzione risponde ai sensi
dell’ art. 21 del Testo Unico del Pubblico Impiego (responsabilità
dirigenziale), nonché, per omesso controllo, sul piano disciplinare, oltre che
per il danno erariale e all’immagine dell’ente. Tuttavia, il dirigente non risponde
per il reato commesso, qualora dimostri:
- di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il Piano per la Prevenzione della Corruzione
- Di aver verificato la rotazione degli incarichi negli uffici esposti al rischio di corruzione
- Di aver individuato il personale da formare sui temi della legalità e dell’etica
- di aver vigilato sull’idoneità, il funzionamento e l'osservanza del Piano.
La sanzione disciplinare a carico
del Dirigente Anticorruzione non può essere inferiore alla sospensione dal servizio
con privazione della retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei
mesi.
Invece, la violazione, da parte
dei dipendenti dell'amministrazione, delle misure di prevenzione previste dal
Piano, e dei doveri contenuti nel Codice di comportamento, costituisce illecito
disciplinare. La violazione dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità
civile, amministrativa e contabile
ogni qual volta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di
doveri, obblighi, leggi o regolamenti.
Violazioni gravi o reiterate del codice possono condurre al licenziamento per
motivi disciplinari (articolo 55-quater del Testo Unico del Pubblico
Impiego.
7.Monitoraggio dell’applicazione dei Piani contro la corruzione e dei
Codici di Comportamento (art. 1,
comma 5 decies e art. 4, comma 2 bis).
Entro il 15 dicembre di ogni anno, il Dirigente Anticorruzione dovrà
pubblicare sul sito dell'amministrazione una relazione recante i risultati
dell'attività svolta, trasmettendola anche all'organo di indirizzo politico. Nei
casi in cui l'organo di indirizzo politico lo richieda o qualora il dirigente
responsabile lo ritenga opportuno, quest'ultimo riferisce sulla propria attività.
Le pubbliche amministrazioni dovranno anche verificare annualmente lo stato di
applicazione dei Codici di Comportamento, anche organizzando attività di
formazione del personale.
8.Tutela dei dipendenti che segnalano illeciti (art.5). Il disegno
di legge introduce nel Testo Unico del Pubblico Impiego l’art. 45 bis, che
tratta la tutela del whistleblowing. L’articolo
prevede che il pubblico dipendente che denuncia all'Autorità giudiziaria o alla
Corte dei conti, oppure riferisce al proprio superiore gerarchico condotte casi
di condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di
lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura
discriminatoria, al di fuori dei casi di calunnia o diffamazione.
L'identità
del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, a meno che la
sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato e la
denuncia è sottratta all'accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della
legge 241/1990..
9.Criticità. In sintesi, mi pare che il disegno di legge delinei un
sistema si gestione del rischio di corruzione ed illegalità abbastanza completo
e coerente: sono previste specifiche responsabilità, fra loro distinte (Civit,
Dipartimento della FP, Governo, Dirigenti per la Prevenzione della Corruzione,
Organi Politici delle amministrazioni pubbliche, OIV) che, a livello centrale e
locale, sono chiamate a definire, adottare, far applicare, monitorare e
migliorare nel tempo le risorse umane e organizzative (Piano Nazionale Per la
Prevenzione della Corruzione, Codice di Comportamento, Piani Anticorruzione
delle singole amministrazioni, attività di formazione e informazione del
personale, norme a tutela del whistleblowing, flussi informativi) finalizzate
alla promozione della trasparenza e alla prevenzione dell’illegalità. Il
sistema è ben costruito … sempre che non sia modificato dal Senato (cui il ddl
è stato inviato, per essere approvato in seconda lettura) e che non resti solo
sulla carta!
Tuttavia, mi pare doveroso
sottolineare, in chiusura, alcune delle criticità che, mi sembra, indeboliscano
l’efficacia della proposta di legge.
In primo luogo, bisogna rilevare
come in più punti del disegno di legge si sottolinei che le attività di
elaborazione di analisi del rischio di corruzione, di definizione dei Piani e
di formazione dei dipendenti dovranno essere
attuate da soggetti interni alla Pubblica Amministrazione (cioè senza il
ricorso alla consulenza di professionisti o società private) e senza ulteriori
oneri per gli enti pubblici. Quindi, se da un lato il disegno di legge sembra
voler riprodurre nel settore pubblico il modello di responsabilità e di
prevenzione imposto al settore privato dal d.lgs. 231/2001; dall’altro sembra
voler escludere il ricorso a quelle professionalità e a quei saperi inerenti la
gestione del rischio di reato che, nell’ultimo decennio, hanno permesso di
diffondere nel settore privato i modelli organizzativi e di gestione previsti
dal Modello 231. Certamente, il ricorso ai privati avrebbe un costo, ma non ci
si può illudere di poter implementare e mantenere a costo zero un sistema di gestione del rischio efficace su tutto
il territorio nazionale: bisogna destinare a tale progetto le risorse
finanziarie adeguate, anche perché i costi (per quanto ingenti) sarebbero
giustificati dai benefici (in termini di efficienza, trasparenza, immagine,
investimenti, migliore uso del denaro pubblico, ecc…) derivanti dalla
prevenzione dell’illegalità nel settore pubblico.
In secondo luogo, mi sembra che
il principale punto debole del sistema per la gestione del rischio di reato,
proposto dal disegno di legge, risieda nella concentrazione di responsabilità
in un solo soggetto interno alle amministrazioni: il Dirigente per la
Prevenzione della Corruzione. Il
dirigente deve definire il Piano per la Prevenzione della Corruzione, curarne
l’applicazione e l’aggiornamento e risponde in caso di commissione di un reato
per responsabilità organizzativa. Si tratta di un monopolio. Un “monopolio” di
responsabilità. I monopoli sono sempre pericolosi, perché rendono meno
trasparente l’attività dei soggetti che li detengono. Il Dirigente anticorruzione
paga (e paga per tutti), ma agisce da solo. Il d.lgs. 231/2001, invece, prevede
che il soggetto sanzionato (l’azienda) sia una persona giuridica differente
dalle persone fisiche (i vertici aziendali) che adottano il modello, che, a
loro volta (a parte alcune eccezioni) sono distinti dall’Organismo di Vigilanza,
che può essere anche formato da soggetti estranei all’azienda. Il disegno di
legge, infine, non impone che il Dirigente Anticorruzione si autonomo rispetto
all’amministrazione e che non possa ricoprire funzioni in processi a rischio di
reato. Soprattutto, nulla garantisce che il dirigente sia autonomo rispetto alla
componente politica, che si sta rivelando essere la
principale fonte di illegalità nelle amministrazioni pubbliche.
In sintesi, il disegno di legge
agisce su quelle fonti di rischio di corruzione che dipendono da fattori etico -
culturali e da scarsa trasparenza e controllo dei procedimenti pubblici; e che
possono far emergere condotte a rischio riconducibili ai dipendenti pubblici.
Mentre non tocca (ed ignora pericolosamente) le fonti di rischio derivanti dalla
relazione fra componente politica e componente amministrativa e sulle fonti di
rischio riconducibili all’operato e alle scelte della sola componente politica.
Non si capisce la ragione di questa scelta, o meglio, le ragioni di questa
scelta non dipendono dall’impossibilità, in via teorica, di estendere la
gestione del rischio illegalità alla componente politica delle amministrazioni
pubbliche. Ciò sarebbe possibile ed auspicabile e non significherebbe vincolare
i Partiti, ma i soggetti che ricoprono cariche pubbliche di tipo elettivo negli
enti pubblici e che non hanno solo il compito di difendere lobby, programmi e
interessi più o meno leciti; ma anche il compito di amministrare e di
assicurare che la pubblica amministrazione funzioni nell'interesse dei
cittadini.
Scritto da Andrea Ferrarini (Consulente Modelli Organizzativi ex d.lgs 231/2001)
http://it.linkedin.com/in/andreaferrarini
cell. 3472728727 - andreaferrarini@inwind.it
Scritto da Andrea Ferrarini (Consulente Modelli Organizzativi ex d.lgs 231/2001)
http://it.linkedin.com/in/andreaferrarini
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